È stato allievo del Prof. Giorgio Colli e ha pubblicato innumerevoli saggi, tra cui non posso mancare di citare la traduzione de “Dell’Origine” di Eraclito ed “Eleusis e Orfismo”.
Da anni anima l’evento internazionale Mythoslogos di Lerici, dedicato alla cultura classica.

L’intervista che ho realizzato vuole focalizzarsi sul tema più vicino alle lettrici e ai lettori del Tempio della Grande Dea di Roma, ovvero le origini della Grande Madre e a quello successivo delle dee del pantheon greco, poiché, come ha scritto la Prof.ssa Francesca Sensini nel suo recente articolo “Com’è cominciato tutto? Mito greco e patriarcato” (9 luglio 2021 su Il Manifesto):
“E’ chiaro che i miti greci ci raccontano (anche) di rapporti di dominazione e di violenza, di un (dis)ordine del mondo che è discordia e dolore moltiplicabili all’infinito. È bene mettere le parole giuste sulle cose, senza eufemismi; decostruire, per esempio, le ragioni per cui invece di “stupro” sentiamo parlare di “rapimento” o, più aulicamente, di “ratto”, per Europa e Proserpina, o ancora le donne Sabine. Il mito greco però non racconta solo questo ma, soprattutto, non coincide ideologicamente e automaticamente con questa barbarie. Al contrario, rappresentandola e interrogandola, ce la offre come materiale vivo, magmatico, pieno di contraddizioni e vie d’uscita dalla violenza, dal male, dal non senso dell’esistenza; non certo come dato “di natura”, dogma intoccabile di un’aurea tradizione. D’altra parte, se abbiamo paralizzato gli antichi in icone neoclassiche da venerare dietro a un vetro, sacre e intoccabili, il problema è nostro, non loro. Lo stesso vale per i padri del pensiero occidentale, da Platone in poi”.
L'intervista
- Partiamo proprio dalle affermazioni della sua collega, che diramano una fucina di interrogativi. Nel corso degli anni di studio e ricerca lei ha attuato questa decostruzione dei motivi per cui invece dello stupro di una principessa o di una dea si legge “rapimento”? Quali sono le ragioni della scelta di vocaboli così diversi e fuorvianti? E, a tal proposito, cosa ci può dire del lavoro di traduzione dal greco antico all’italiano? Quali sono le differenze del mestiere tra lei e, per esempio, un suo collega degli anni ’60 del Novecento?
“Pur ritenendo fondamentale una rilettura in chiave matrifocale della cultura e della mitologia greca, nell'ambito dei testi di cui mi sono occupato, e in particolare nell'Inno omerico a Demetra, tecnicamente mi pare più opportuno parlare di rapimento (érpaxen) di Kore da parte di Ades, più che di stupro, che pur essendo una lettura sottotestualmente plausibile, stilisticamente non mi risulta granché come traduzione.
Ogni epoca ha le sue traduzioni, che rispecchiano il linguaggio e la poetica dello Zeitgeist.
Negli anni ‘60 e ‘70 vigeva un approccio storicistico prima e marxista e strutturalista poi alla cultura classica, che implicava l'incapacità di vedere la dimensione mistica e iniziatica di tale cultura.
Oggi fortunatamente, dopo il lavoro di Colli, mio e di altri studiosi, tale pregiudizio è superato, con evidenti riflessi nel modo di interpretare e tradurre, evidenziare o occultare certe sfumature o significati”.
- “Il mito greco non racconta solo questo ma, soprattutto, non coincide ideologicamente e automaticamente con questa barbarie. Al contrario, rappresentandola e interrogandola, ce la offre come materiale vivo, magmatico, pieno di contraddizioni e vie d’uscita dalla violenza, dal male dal non senso dell’esistenza; non certo come dato “di natura”, dogma intoccabile di un’aurea di tradizione”. È d’accordo con queste parole? Vuole condividere con noi il suo punto di vista?
“La questione del mito è troppo complessa per risolverla in brevi tratti. Il mito, per dirla con Salustios, è “queste cose che non avvennero mai ma sempre sono". È pensiero-immagine mitopoietico, intuitivo, fluido, allusivo, un po' come quello del sogno. Il mito si presta, a varie letture, anagogiche, metafisiche, psicoanalitiche... Inscena nodi e il loro scioglimento, parla all'Anima e la popola di dee e dei, non giudica la violenza ma la rende oggetto di alchimia e contemplazione. Il mito non si ferma mai”.
- In merito alla paralisi degli antichi in una sorta di icone da venerare dietro a un vetro, sacre e intoccabili, mi sembra di capire che è esattamente ciò che lei non sta facendo, anzi, da anni Mythoslogos vuole avvicinare le persone al mito, al sacro, alla magia. È così? Ci parli di questo e di quali sono le sue riflessioni attuali.
“Ah Mythoslogos! Quest'anno si articolava in 30 incontri ma ne ho potuti portare a termine solo venti perché l'amministrazione lericina che lo finanziava lo ha bloccato per mie opinioni personali espresse su Facebook in divergenza rispetto alla politica governativa Anticovid. Sul mio profilo personale Facebook, e non durante il Festival! Cose da Medio Evo.
MythosLogos, da me ideato e organizzato, ha come scopo, fin dalla prima edizione del 2014, di proporre le culminazioni della Sapienza, della filosofia e dell'arte greca nella loro inattuale attualità, liberandole con rigore da triti schemi di approccio accademico e liturgie da nostalgici del Liceo, facendo in modo che gli Antichi convochino i contemporanei inebetiti da livelli di coscienza rudimentali o intellettualistici indotti dal sistema accademico, mediatico, educativo, a un salto di coscienza, alla luce della grande lezione dei Sapienti, dei filosofi, dei tragici e degli artisti principalmente greci”.
- Venendo al suo saggio, non posso che partire da queste sue parole: “Nonostante ci siano giunti ben pochi nomi di sciamane e donne di Sapienza (la Diotima, maestra di Socrate sulle cose dell’eros, e Saffo, insieme poetessa orfica e guida spirituale di un tiaso consacrato ad Afrodite, per indicare le più conosciute), abbiamo testimonianze cospicue su cerchi iniziatiche e femminili (le Baccanti, sciamane di Dioniso, e le Pizie, sciamane profetiche delfiche), e su feste sacre dedicate a divinità femminili e officiate prevalentemente da donne, come le Afrodisie, le Agrionie, celebrate dalle Baccanti, le Alee e le Arreforie in onore di Atena, le Anteforie, dedicate a Demetra e Persefone, le Artemisie, le Carrie e le Brauronie per Artemide, le Koree e le Demetree per Kore e Demetra, e così via”. La mia domanda verte proprio su questo punto: noi desideriamo costantemente approfondire queste conoscenze di ascendenza femminile, ricercando le fonti certe, dunque può consigliarci una via preferenziale e aggiornata per farlo, al fine di ricostruire più rituali femminili possibili? Per esempio, in una nota cita la Prof.ssa Gabriella Galzio e il suo intervento a Mythoslogos 2020.
“Oltre agli elementi da lei riferiti a cui dedico spazio nel libro proporrei, senza alcuna pretesa di esaustività, una breve bibliografia mutuata dal libro di Gabriella Galzio Sulle tracce della Dea, in corso di stampa presso Agorà e Co. Edizioni, nella collana "Lo specchio di Dioniso" da me diretta, che riprende e sistematizza l'intervento della studiosa a Mythoslogos 2020: Stephanie L. Budin, Before Kypris was Aphrodite (“Prima che Kypris fosse Afrodite”), nel volume collettaneo a cura di David T. Sugimoto, Transformation of a Goddess (Ishtar-Astarte-Aphrodite), edito da Academic Press Fribourg (Svizzera) Vandenhoeck & Ruprecht Göttingen, 2014. Stephanie L. Budin è Lecturer alla Rutgers University, USA. Gabriella Galzio, Incontrarsi in Saffo, in “Traduzionetradizione, Quaderno internazionale di traduzione poetica”, n. 14, Milano, 2017. Marja Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venezia, 1989. Heide Göttner-Abendroth, Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo, Venexia, Roma, 2013. Heide Göttner-Abendroth, Geschichte matriarchaler Gesellschaften und Entstehung des Patriarchats, Band III: Westasien und Europa, Verlag W. Kohlhammer, Stuttgart, 2019, non ancora tradotto (Storia delle società matriarcali e nascita del patriarcato). Heide Göttner-Abendroth, Die Göttin und ihr Heros, Frauenoffensive, München, 1980, tradotto in inglese (The Goddess and her Hero) (sulla mitologia matriarcale) Ingrid Straube, Die Quellen der Philosphie sind weiblich, ein-FACH-verlag, Aachen, 2001, non ancora tradotto (Le fonti della filosofia sono femminili).
Questi testi a loro volta rinviano a ulteriori studi di grande interesse”.
- Uno dei nomi delle Baccanti è Bassàra, la cui origine è la pelle di volpe con cui si faceva un abito lungo fino ai piedi, “indossato da Dioniso stesso e dalle Menadi o Baccanti in Tracia”. Ne consegue che Bassareo era anche uno dei nomi di Dioniso. Può approfondire questo riferimento, profondamente sciamanico? E perché proprio la pelle di volpe?
“Dioniso, a cui sono devote le Baccanti unifica in sé il dio e l'animale. Gli si associano il toro, il capro, l'asino e altri animali, perché é dio di unificazione tra mondo umano, divino e naturale. Assimilarsi a Dioniso implica unificare in sé questi tre livelli, non rinnegare il "basso" in nome dell'"alto" , l'istinto in nome della ragione, il selvatico in nome del politico, e così via, e stabilizzarsi in un livello ulteriore di coscienza che è al di sopra, o più in profondità, del livello umano, animale e divino.
Riguardo alle Bassaridi, la pelle di volpe, come anche quella di cerbiatto, la nebride, da loro indossata, rimanda certamente alla connessione dello sciamano e della sciamana con la sfera animale: si pensi all'importanza degli spiriti animali adiutori in tutte le tradizioni sciamaniche. Indossare la pelle di animali selvatici (a Zalmoxis per esempio si associava quella dell'orso) implicava la connessione con il loro potere e con la dimensione selvatica, elicitava una nuova identità extraegoica, favoriva la trance. La volpe rimanda all'energia cairotica, epifanica, imprevedibile, astuta, misteriosa della dimensione notturna della Natura”.
- Dalla volpe al serpente: scrive di Olimpiade, moglie di Filippo II di Macedonia, vissuta nel IV secolo a.C. e madre di Alessandro Magno, sovrana dedica al culto dionisiaco. Le Baccanti venivano spesso rappresentate nell’atto di maneggiare serpenti, in particolare nel culto di Sabazio, il Dioniso tracio. Può approfondire questo legame con i rettili e tracciare la loro origine? Era tracia?
“Il serpente è animale ctonio e metamorfico, una forma di energia potente e, per l'ego di superficie, perturbante. Collaborare con esso implica assumere dimestichezza con il mondo infero, con le potenze dell'inconscio, come si addice a ogni latitudine a chi attraversi il processo di iniziazione e si stabilizza in uno stato di coscienza unificato e unificante a livello psicocosmico. La trasversalità del simbolo sconsiglia di indicarne un'origine univoca, anche se per quel che riguarda il contesto dionisiaco l'ascendenza tracia è significativa”.
- Ha largamente scritto dei Coribanti che sovrintendevano a rituali di cura della pazzia, a cui era collegata anche la Grande Madre -e le sue personificazioni, come Rhea, Ecate, Cibele – Madre delle Montagne- che aveva potere di risanamento. Si conoscono i rituali dei Coribanti? Inoltre, in alcuni testi ho trovato traccia della presenza di Coribanti donne. È vero? E quale era il loro ruolo specifico?
“Nel libro dedico un capitolo al coribantismo e a Melampo che ne é un esponente. Si trattava di una forma di musicoterapia di cui sono eredi i rituali terapeutici del Tarantismo nel nostro Sud. Attraverso una musica frenetica si curava la frenesia, specialmente delle donne, a quanto ci risulta dalle testimonianze principali. I terapeuti erano stati a loro volta curati con il rituale coribantico, di cui si trova traccia anche a Eleusi nella pratica del thronismós, che prevedeva, a mio avviso, l'elicitazione della trance dell'intronizzato o dell'intronizzata attraverso la sua esposizione alla cerchia coribantica, alla sua musica e alla sua danza. Non so a quali testi si riferisca per la partecipazione di donne alla cerchia coribantica, tuttavia mi pare un'ipotesi assolutamente plausibile”.
- Gli Enarei sciti erano i praticanti della divinazione legata alla Dea Afrodite, che aveva elargito loro questo potere. La peculiarità degli Enarei era l’ermafroditismo. Può approfondire questo punto e, assieme a esso, certe rappresentazioni ermafrodite della stessa dea Afrodite e di Dioniso?
“In generale, e per esempio in alchimia, l'ermafrodita è simbolo di unità degli opposti e tale è ovviamente la sua valenza nel dio che più di ogni altro di tale unità è portatore. Gli sciamani divinatori Enarei ne sono la declinazione in chiave afroditica”.
- Addentrandoci nella pratica dello Sciamanesimo greco, lei fa una distinzione tra gli effetti del suono dell’aulòs, il flauto, e del tamburo su donne e uomini. Può spiegarci questa differenza, che si riscontra anche nei chakra indiani?
“L'analogia con i chakra è convincente: il tamburo risuona con la dimensione erotica e viscerale propria dei primi chakra, il flauto con i chakra più alti, se vogliamo mentali e noetici. Dalla combinazione di questi due tipi di sonorità e vibrazione può essere elicitata una forma di trance completa, insieme apollinea e dionisiaca”.
- In merito alla divinazione, lei ha scritto: “La capacità profetica nasce dalla manìa, ovvero da una condizione di trance che consente di trascendere i limiti dell’ego e della coscienza ordinaria, strutturata spaziotemporalmente, aprire un varco ed entrare in contatto con l’Assoluto invisibile metaspaziotemporale; quel nucleo metafisico in cui passato; presente e futuro sono agglutinati in un eterno “adesso”, il nûn di Parmenide, e da questa postazione riverberare visioni e parole che squarciano la trama del tempio e dello spazio”. Può parlarci di questo Assoluto invisibile metaspaziotemporale?
“"ópsis tón adélon tà phainomena", ovvero "le cose che appaiono sono ciò che si vede dell'invisibile". Così folgorava il Sapiente greco (forse Anassagora), alludendo alla presenza di un Assoluto non visibile alla radice di ogni oggetto visibile. È l'immediatezza di cui parla Giorgio Colli, ma anche la tradizione orientale, per esempio nel "Sutra del Cuore", in cui non dualisticamente si dice "la forma è vuoto, il vuoto è forma". Il Sapiente vive in uno stato di coscienza liminale, sulla soglia che separa e unisce il manifesto e l'immanifesto, l'Assoluto e il relativo, il tempo mistico (aión) da quello "dell'orologio" (krónos). Al Sapiente, allo sciamano, al meditante, ma anche all'artista o all'amante iniziatico si aprono le porte del "contatto", per assimilazione (omoíosis) con ciò che trascende la vita pur essendole immanente. Radicarsi nell'Assoluto consente di attraversare l'esistenza nella gioia profonda”.
- Vorrei concludere con una domanda inerente al destino. In uno dei miti illustrati da Platone, troviamo la tessitura del destino: la Dea Ananke (la Necessitas romana e in seguito la Provvidenza cristiana) rappresenta la necessità e dunque è dal suo fuso che si dipana un filo che, al canto delle Sirene (le incantatrici) raggiunge le tre Moire, le figlie di Ananke, che tessono il destino di ogni uomo. Secondo le sue ricerche, cosa rappresenta esattamente tale tessitura? Quanto libero arbitrio possiedono la donna e l’uomo, rispetto alla necessità? E come si collegano alla pratica magica, che presuppone e desidera la modificazione degli eventi?
“Giorgio Colli intuì che alla radice sorgiva del cosmo troviamo gioco e violenza, che nel lógos assumono la forma di caso e necessità, ovvero delle categorie di contingente e necessario. Aggiungeva che l'uomo ha creato le catene della necessità, e l'uomo può liberarsene. Anche nel mito di Er troviamo che nella scelta del daímon che determinerà la reincarnazione futura è presente un elemento di casualità. Le maglie della trama destinale non sono ineludibili per chi coltivi uno sguardo, un pensiero e uno stato di coscienza fluido nella sua vita. Negli interstizi tra Assoluto e Relativo, tra Caso e Necessità, tra aión e krónos puó darsi l'accadimento magico”.
Angelo Tonelli e Nataša Cvijanović
Ringraziamo Nataša per questa preziosa intervista e Angelo Tonelli per averci permesso di pubblicarla.